Monica Kircheis

Pubblicato il: 5 Aprile 2025

Come possono gli errori essere i nostri migliori alleati?
 
Sbagliare è inevitabile. Ma se cambi prospettiva, può diventare anche prezioso.
In questo articolo ti porto con me in un piccolo viaggio tra studio, musica ed esperienza diretta, per scoprire come gli errori – anziché bloccarci – possano aprire nuove strade.
Un percorso tra l’importanza dell’interpretazione, l’improvvisazione forzata in un concerto all’aperto (vento compreso!) e un’immagine che mi accompagna spesso: quella di una bambina che impara a camminare.
Perché essere gentili con noi stessi non è un dettaglio… è una chiave.

Gli errori come opportunità: una lezione che va oltre il corso

 
Non ho ancora finito l’ultima parte dell’esame per una delle certificazioni in neurologia che mi interessano. Le domande sono studiate con cura per farmi ragionare, mettere in discussione ciò che so, osservare i dettagli. Quando si studia, spesso si ha l’illusione che esista una versione “giusta” delle cose, una risposta perfetta, un’unica strada. Ma poi arriva la realtà – e con lei, gli errori.
 
E sono proprio quegli errori che l’esame propone intenzionalmente, quegli scivoloni che ti costringono a pensare fuori dagli schemi, a rivedere i collegamenti, a capire davvero come funziona una cosa, invece di ripeterla a memoria. Alla fine mi accorgo che sto imparando molto di più dall’analisi degli sbagli che dal corso stesso. È un bel ribaltamento di prospettiva, no? Gli errori, se li guardi con curiosità invece che con giudizio, si trasformano in veri e propri insegnanti.

La musica non è perfezione, è comunicazione

 
Lo stesso vale per la musica. La musica non è perfezione, è comunicazione. Sì, lo so, sembra una frase da maglietta, ma prova a rifletterci: quante volte suonando o cantando ti sei chiesto se stavi davvero comunicando qualcosa… o se stavi solo cercando disperatamente di non sbagliare?
 
Sono un’amante della filologia, adoro studiare le fonti, capire cosa intendeva dire l’autore, ma – e qui arriva il bello – mi entusiasmano anche tutte le versioni alternative. Perché la musica non esiste nel vuoto. Esiste dove viene eseguita, nella timbrica dello strumento, nel materiale con cui è costruito, nella fisicità e nella voce di chi la esegue. E ogni corpo, ogni respiro, ogni tocco è unico. È inevitabile che ognuno dia un’interpretazione personale, anche nel rispetto più filologico del pezzo.
 
In fondo, questa è la magia della musica: due esecuzioni dello stesso brano non saranno mai identiche. Il tuo suono – proprio il tuo, con tutte le sue sfumature – è una visione del pezzo. E vale la pena di essere ascoltato.

Due versioni de “Amante Felice” di Giovanni Stefani (?-1626)

  1. lo spartito
  2. versione cantata da Elisa Franzetti
  3. versione cantata e suonata da Claudia Bombardella

Gli errori: piccoli imprevisti, grandi opportunità

 
Gli errori sono inevitabili, ma non sono il nemico. Anzi, sono parte del gioco. Lo so bene: le prime volte che mi succedeva qualcosa di sbagliato durante un’esecuzione, entravo in panico. Un errore tirava l’altro come una valanga in piena, e a quel punto era il caos. Ma ricordo ancora un concerto in piazza Mercanti, con il quartetto con cui suonavo. Dovevo eseguire un brano di Telemann per flauto solo, quando una folata di vento mi portò via lo spartito. Panico! Non volevo interrompere il concerto – il mio perfezionismo all’epoca era un vero sergente di ferro – quindi decisi di andare a memoria. Peccato che la memoria facesse cilecca. Così, improvvisai in stile. Un Telemann “alternativo”, diciamo. E sai la cosa incredibile? Nessuno nel pubblico se ne accorse.
 
Quell’episodio mi ha fatto capire che gli errori, se li affronti con apertura e un pizzico di inventiva, diventano alleati. Da allora ho iniziato a giocarci, anche quando insegnavo ritmica ai bambini. Facevamo apposta degli “errori creativi”, per ascoltare come cambiava il flusso e imparare ad adattarci insieme, come gruppo. Perché a volte è proprio nella risposta all’imprevisto che nasce la vera musica.

Il dramma dell’errore: non vale la pena

 
Immagina: sei in mezzo a una performance, tutto fila liscio, e poi… bam! Sbagli qualcosa. L’errore ti colpisce come un gancio al mento. La mente si blocca, la musica si inceppa. La tentazione è pensare che tutto sia rovinato. Ma davvero è così? Chi se ne accorge davvero? Chi ti sta ascoltando, sta giudicando o sta vivendo con te l’esperienza?
 
Il problema non è l’errore in sé, ma la reazione che costruiamo intorno ad esso. È lì che nasce il vero dramma. Se ci fissiamo, se ci chiudiamo nel giudizio, perdiamo il senso della performance. La musica non è fatta per dimostrare quanto siamo bravi. È fatta per entrare in contatto, per emozionare, per raccontare. Un errore non cancella tutto questo. Anzi, a volte lo rende ancora più vero.

Liberarsi dalla perfezione: il coraggio di rischiare

 
La perfezione, per quanto attraente, può essere una gabbia dorata. Tanti musicisti finiscono per rinunciare al piacere di suonare, per paura di sbagliare. Ma questa tensione continua ci imprigiona. Ci toglie la spontaneità, ci fa trattenere il respiro. E ci toglie anche la gioia di scoprire.
 
Ma se scegliamo di abbracciare anche l’imprevisto, se ci apriamo alla possibilità di sbagliare, iniziamo a respirare davvero. A vivere la musica come un’esperienza piena, non come una verifica da superare. È proprio in quella vulnerabilità che si libera il potenziale più autentico.

Essere gentili con noi stessi: la chiave per crescere con gli errori

 
Per riuscire a essere gentile con me stessa quando suono o canto, uso un’immagine che mi aiuta tantissimo: immagino davanti a me una bambina, o una neonata che sta imparando a camminare. Nessuno si aspetta che non cada. Nessuno si arrabbia con lei perché ha perso l’equilibrio. Anzi, si sorride, si incoraggia, si tende la mano.
 
Ecco, lo stesso atteggiamento possiamo (e dovremmo!) averlo con noi stessi. Perché quando impariamo – qualcosa di nuovo, o semplicemente quando affrontiamo una situazione che ci mette alla prova – è naturale inciampare. Il punto è come reagiamo a quelle cadute. Possiamo giudicarci, o possiamo aiutarci a rialzarci.
 
Ricordiamocelo ogni volta che ci troviamo a dire “ho sbagliato”: non è la fine del mondo. È solo un piccolo passo nel nostro cammino. E se lo facciamo con gentilezza, forse sarà anche un passo danzato.

Una lente d’ingrandimento che canta

 
Per tornare all’esame della certificazione, sto imparando moltissimo sul funzionamento del sistema nervoso e su come trasferire le stimolazioni al canto. Questo mi permette non solo di comprendere meglio i meccanismi fisiologici e neurologici, ma anche di osservarli con più precisione. Come dico spesso, il suono e la voce sono una lente d’ingrandimento: mettono in evidenza i dettagli, aiutano a sviluppare consapevolezza.
 
Ed è proprio questa consapevolezza che rende il lavoro così prezioso. Perché non migliora solo l’aspetto motorio, ma anche quello vocale, musicale… e alla fine tocca anche tanti altri aspetti della vita quotidiana. Una piccola imprecisione può aprire grandi porte, se la guardiamo con gli occhi giusti.
 
Vuoi scoprire come usare la tua voce come lente d’ingrandimento?
 
Nei miei corsi esploriamo proprio questi aspetti: la voce, il corpo, la percezione, l’errore come risorsa. Se vuoi approfondire, dai un’occhiata qui:
primo piano di Monica Kircheis

Sono Monica Kircheis, flautista, cantante, insegnante di vocalità esperta in fisiologia e neurologia applicata.

Desidero che i musicisti possano sempre più sentirsi liberi di essere sé stessi. Per rendere ciò possibile affronto nella mia didattica  vari temi dei quali potrai leggere qui nel blog. Che possano essere d’ispirazione!

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